Pino Corati
Nasce a Viterbo il 5 aprile 1944.
Quasi diplomato geometra, sull’onda dei sogni del cugino Renato Fratini (famoso illustratore) s’iscrive all’Accademia libera del nudo di Roma.
Negli anni Sessanta fa la spola tra Milano e Roma lavorando come grafico, e poi come libero professionista.
In seguito collabora con l’editore Quinti, con “Penthouse”, con la rivista “Economia e Territorio”, con “Investire”. Si confronta con Goethe, Pessoa, Collodi e Omero illustrandoli: vedono la luce “Corati interpreta Goethe”, “Corati interpreta Pessoa”, “Pinocchio mio fratello”, mentre rimane semplicemente abbozzato “Ulisse mio fratello” («un pugno al cuore» lo definisce lui). Al centro di queste opere figurative l’omino, emblema di quel poveraccio dell’essere umano, tutti noi accomunati da un unico destino.
La sua pittura “segnica” (così la definiva Achille Bonito Oliva), dal segno parecchio incisivo, realizza una mistione di figurativo e arte informale.
Vive in un anelito al cambiamento quale unico vero antidoto alla noia. Non manca l’elemento divino, come nella tela “L’umanità verso Dio” e nell’abside della chiesa di Thiene.
Ma il suo grande amore è la scultura, per il tramite dell’alabastro («non è duro come il marmo…»). Riesce a trasformare la sua arte grafica in pittura. Ha una mano veloce e incisiva, e una vita improntata al segno grafico, alla ricerca della dignità e dell’entusiasmo. Molto vicina a lui la nota critica d’arte Teresa Fiori Telloli, che ha collaborato con Giulio Carlo Argan e Maria Drudi Gambillo. In particolare, nell’ambito del loro dialogo quotidiano, la curatrice degli “Archivi del Futurismo” ne apprezzava la grafica e la scultura.
Tre le colonne della sua vita: la moglie Antonella (cavallerizza di Nadir), lo splendido Rothko detto Cocò (un Jack Russell), il figlio Andrea (suo primo critico, i viaggi del quale gli hanno fornito grande ispirazione). Ha un grande rimpianto: il pianoforte.
La miglior valutazione della sua carriera la dà lui stesso: “Ho sessantotto anni, ho campato facendo l’artista: qualcosa varrò…!”
Cosimo Magazzino